La nostra scuola non insegna solo fumetto, né tantomeno, solo disegno. Il fumetto è fatto anche di sceneggiatura, di storia, di testi. Sceneggiatura è un corso tenuto da Massimiliano De Giovanni, Roberto Recchioni, Francesco Artibani, Laura Scarpa.
Per farvi "assaggiare" ecco una lezione di fumetto, anzi, di sceneggiatura, aperta a tutti!
Per chi volesse sperimentare invece un workshop di fumetto con Laura scarpa a Pavia VENERDI' prossimo ce n'è l'opportunità (qua).
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Il linguaggio del fumetto è importante.
Certo, il fumetto si esprime con le immagini, le sequenze, lo svolgersi del racconto, ma l’equilibrio del testo con l’immagine, le voci, i dialoghi, sono fondamentali a volte per svelare una trama, o per raccontare un livello della storia. Altre volte per chiarire l’ambientazione e i personaggi, i loro caratteri, ma anche la società, il tempo e il luogo in cui vivono e il tono del racconto.
Leggetevi questo esempio di dialogo di Will Eisner e osservate come si accompagni alle immagini e al gestire, come prosegua e si rapporti con le inquadrature.
Linguaggio caratterizzato
“Usare con cautela”, si dovrebbe premettere. Ogni sceneggiatore conosce l’uso di giocare col linguaggio dei personaggi, al fine di caratterizzarli. Nel cinema questo è affidato molto alla recitazione e anche alla mimica, nel fumetto più spesso sono proprio le parole o le lettere dell’alfabeto ad avere questo ruolo di caratterizzazione evidente, spesso comica o grottesca.
In primo luogo vengono i difetti di pronuncia, le mancanze di R o di S servono a dare precise informazioni: nazionalità (francese, tedesca, olandese, cinese…), caratteri (lo snob ha la R moscia), di età (il bambino pronuncia male alcune consonanti, e altrettanto il vecchietto sdentato), o semplicemente un tocco goffo o ironico; così come la balbuzie, che dà anche il senso di incertezza, debolezza. O caratterizzazioni ‘nazionali’, accenti o parole, come ‘Well’ per gli Aristocratici di Castelli e Tacconi. Poi ci sono gli intercalari, “cioè” “ ok” “purtuttavia” o anche frasi più strane, servono proprio a identificare o un certo ambiente (saccente oppure giovanilistico), che ben definisce il carattere del personaggio e, a volte, ad accentuarne il nervosismo, la psicologia o ancora la nazionalità (well, caramba).
Questi segnali sono utili per riconoscere anche in situazioni ambigue chi sta parlando, ma – a lungo andare – rischiano di essere anche molto pesanti.
È bene, dunque, non eccedere in simili giochi, farlo con naturalezza, e semmai riservarli a personaggi secondari o dalla vita brev, in ogni caso, sempre con mano di velluto.
Porre molta attenzione anche a luoghi comuni (i cinesi senza R o altri schematizzazioni scontate) e ai giochi verbali scontati e ormai invecchiati, meglio rivedere e limare che eccedere. Meglio NON caratterizzare, che farlo troppo.
Piuttosto, la coerenza del linguaggio sarà studiata anche attraverso piccole sfumature e parole ricorrenti, ma discrete; a meno che non si tratti di tormentoni comici o di parole chiave, da utilizzare solo in momenti particolari, per il riconoscimento e il gioco autoironico di citazione del personaggio “Giuda ballerino!”.
Però…
EVITARE il tono, il linguaggio sbagliato…. Se il linguaggio è colto è perché il personaggio lo sarà, se greve altrettanto.
Altro dialogo i Eisner e forte caratterizzazione senza che il testo sia forzato o caricato.
Forma neutra
Partiamo da una forma neutra, asciutta, valida per tutti. Un parlato di oggi, ma quel tanto letterario da stare bene in pagina (inutile eccedere in turpiloquio e bestemmie,sono come il sale, ne basta un pizzico, un suggerimento, per rendere toni grezzi o violenti).
RICORDATE: IL LINGUAGGIO DEL FUMETTO, DIVERSAMENTE DA QUELLO CINEMATOGRAFICO, è NATURALE, CORRENTE, MA ANCHE LETTERARIO E SI BASA SULLA SINTESI (NON SUL TONO TELEGRAFICO).
Dunque da una base neutra e scorrevole, scegliete di caratterizzare con delicatezza.
Un po’ più tono “alto” o “basso” o “gergale” o “giovanile”… una sola parola può caratterizzare. Ma tutto deve scorrere, MAI impigliare la comprensione o bloccare il ritmo.
Ecco qualche esempio e consiglio di sceneggiatori…
Sulla sintesi e l’equilibrio dei dialoghi, sono tutti concordi. Un po’ meno sui metodi di lavoro, su come creare la storia, partendo o no dai dialoghi (a mio parere dipende dalle singole storie e scene… direi).
Qualche consiglio pratico su come fare e come rapportarsi con i disegnatori.
Leggete un po’….
Gianfranco Manfredi (Magico Vento, Volto Nascosto)
La parola, il suo rapporto con la recitazione dei personaggi.
Mi sarebbe piaciuto dare a ciascun personaggio il suo modo caratteristico di parlare, come in Dick Tracy, in Asterix e in molti fumetti. In Bonelli però riguardo ai dialoghi si usa un altro criterio la cui origine è in Tex. Il protagonista è protagonista talmente assoluto che tutti gli altri personaggi parlano come lui. In qualche modo il protagonista è la rappresentazione/proiezione anche dell’autore. Dal che si deduce che questa scelta non è una scelta “bassa”, è, anzi, d’autore: come i personaggi dei film di Woody Allen tendono tutti a parlare e a muoversi come Woody Allen. Però gli autori come me che sono più portati per un racconto corale e multiplo, spesso trovano dei limiti espressivi in questa regola.
Pasquale Ruju (Dylan Dog, Demian e Cassidy)
Ridurre i dialoghi dei personaggi è stata la cosa più difficile. Come tutti i principianti, facevo parlare “troppo” i miei characters, lasciando poco spazio al disegno, i miei dialoghi tendevano a essere lunghi, dovevo arrivare a una maggior sintesi. Il mio scoglio maggiore è stato trasformare la mia abitudine a dialoghi lunghi e ricchi, come facevo nelle fiction cinematografiche, a quelli sintetici del fumetto. Quando ti trovi in un filmato, non solo l’attore interpreta la parte e recita i testi, ma anche la lunghezza non è praticamente mai un problema. Nel fumetto invece non puoi dilungarti: devi caratterizzare il personaggio con poche battute, e non è facile, almeno per me non lo è stato. Questo è vero senz’altro per il fumetto in generale, ma quello bonelliano, in particolare, prevede un numero di balloon a pagina abbastanza limitato. Più limitato, almeno, di quelli americani o dei manga. Sono semplicemente modi di raccontare diversi, così se scrivi per una sit-com o per un film o per il teatro, linguaggio e ritmi cambiano.
Quando si scrivono le battute credo che andrebbero comunque recitate, sentite come se venissero dette, ma nel fumetto devono essere anche concise, essenziali, anche se magari un po’ meno naturali. Non si tratta solo di lunghezza, comunque, tutto il linguaggio del fumetto è diverso da quello cinematografico, per esempio, in generale è più forbito; nel parlato noi accettiamo di più le scorrettezze grammaticali. Il dialogo del fumetto è tra il parlato e il letterario, sta in mezzo. Deve dare la sensazione naturale di un dialogo, ma è comunque scritto e un congiuntivo sbagliato, almeno in un fumetto bonelliano, stonerebbe subito! Nel fumetto americano, invece, il testo è più gergale, ma è anche più frammentato, diverso.
Paola Barbato (Dylan Dog)
Guardo la storia, e non è un guardare virgolettato, è un guardare vero. Guardo, ascolto e trascrivo. Metto il grassetto e scrivo il dialogo, vado avanti per 2 o 3 pagine, fino alla fine della scena. Solo allora osservo lo schermo e comincio a tagliare, ad andare a capo, a separare le battute di uno e dell’altro, poi le raggruppo in blocchi da 6 vignette e le suddivido in pagine.
Giancarlo Berardi (Ken Parker e Julia)
La prima fase della scrittura è il dialogo. Lo stendo e inizio a ipotizzarlo diviso in vignette. L’azione vera e propria arriva in un secondo momento. I dialoghi sono la musica del racconto, da essi si denota subito se la scena ha un buon ritmo oppure no. Dopo di che si passa alla regia, che è altrettanto importante, un complemento di quello che si dice. A volte i personaggi dicono qualcosa e sullo sfondo si vede qualcos’altro. È un modo per rendere più interessante la scena.
Di solito faccio degli schizzi delle tavole mentre scrivo i dialoghi. Ogni volta che chiedo qualcosa al disegnatore, quindi, l’ho prima disegnata per me stesso, verificando che tutto funzioni e calibrando i pesi e le componenti della pagina. Consiglio agli sceneggiatori in erba di sforzarsi di entrare anche nell’altra parte del mestiere, la sceneggiatura ne è solo il 50%. Provare a disegnare aiuta a rendersi conto delle difficoltà che i nostri colleghi devono affrontare, realizzando le nostre idee.
Tito Faraci (Topi disney, Diabolik, Dylan Dog e Brad Barron,)
La tavola è come il paragrafo di un romanzo. Cerco di equilibrarla geometricamente e narrativamente. Ogni inquadratura esprime una certa sensazione, questa è la cosa più importante. Molto più dei dialoghi. Farsi guidare dalle parole è sbagliato, ti porta a qualcosa che non è il fumetto, che in primis è un racconto per contrapposizioni di immagini. Come forse ogni sceneggiatore, tenderei di natura a essere guidato dalle parole, ma questo va combattuto. Poi c’è chi fa ottime cose partendo dai dialoghi, e ne ho rispetto.
Carlo Chendi (Disney, Paperi e Topi…)
Riguardare i dialoghi è una verifica di come scorre la narrazione.
Quando scrivi, non vedi il disegno e magari pensi che non si capisca bene quello che succede, allora nel balloon del personaggio c’è scritto: “Adesso vado lì e faccio questo”. Quando lo vedi disegnato ti accorgi che non serve perché è evidente. E quindi ritocchi il testo. Questo è l’esempio più banale. Ma in realtà poi si avanti così. Magari vedi che il disegnatore ha dato un’espressione diversa da come l’hai immaginata tu e allora modifichi il dialogo. Ti esce fuori magari una battuta nuova. È un lavoro di collaborazione.
Una tendenza che ho e che suggerisco a un giovane sceneggiatore è di fare i dialoghi molto stringati, anche per un motivo pratico, il disegnatore deve avere lo spazio di disegnare personaggio e scene, non può avere solo un angolino. Se c’è un testo lungo, suddividilo in più vignette. Poi ci sono dei piccoli trucchetti, quando hai dialoghi lunghi, metti una panoramica dove si capisce dove sono i personaggi…
(ecco invece un ulteriore esempio di Will Eisner, che ben esplicita quello che ha detto Carlo Chendi)
E ora….
ESERCIZIO
Il dialogo a volte è quasi l'unico elemento narrativo... quando le inquadrature sono ripetitive, per esempio e in altri casi più estremi. Ma anche quando c'è solo dialogo il ritmo dato dal succedersi delle vignette è importante.
Il vostro compito, in questa lezione libera per sceneggiatori, sia quello di raccontare una scena che si svolge al buio, nel nero più assoluto di notte? un blackout? Una grotta, un abisso? Scegliete voi quale sia la situazione per cui ALMENO DUE personaggi (non più di tre, vi consiglio), siano a parlare tra loro.
Due pagine, per un totale di 11 fino a 18 vignette al massimo
Usate un carattere decente, grazie :)
inviare l'esercizio al solito indirizzo: corsosdf(at)ascuoladifumetto-online.com ve le correggeremo e commenteremo!
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